La Città di Gravina in Puglia

LA CITTA’. LA SUA STORIA CHE SI TRAMANDA

 

Non è dato conoscere con certezza l’epoca o il secolo in cui sia sorta la città fondata tra gli anfratti rocciosi e misteriosi sul versante sinistro del burrone, come non si conosce il tempo in cui sia stato fissato alla stessa il nome di Gravina. In geologia il termine “gravina” sta ad indicare una depressione del terreno prodotta da erosione di acque e può essere accostato al tedesco “graben” (fossa) o ai termini prelatini “graba” (roccia) e “rava” (dirupo roccioso) o al “Bothros” greco. Il nome Gravina viene citato nel Chronicon di Romualdo Salernitano, arcivescovo di Salerno dal 1154 al 1181, in occasione della incursione operata dai saraceni nella città nel 976 dopo Cristo.
Trovandosi alla confluenza di valli tra antica Peucezia e Lucania, non lontano da Daunia, Magna Grecia e Sannio, regioni storicamente più famose, si può supporre che la città di Gravina si sia affacciata alla storia tra VIII e VII secolo a.C., come testimoniano i reperti archeologici rinvenuti sul pianoro della collina di Botromagno e nella zona di Padre Eterno, così chiamata per la presenza in una grotta di affreschi bizantineggianti fatti risalire al XII secolo. Grazie ai rapporti e , forse, ad una fusione con popolazioni magno – greche spostatesi nell’interno dopo la distruzione di Sibari (VI sec. A. C.).

Ciò spiegherebbe il demotico ∑I Δ I N Ω N inciso sulle monete coniate in loco e la presenza di radici greche nel dialetto ancora oggi parlato. Con la conquista di Roma, la terra divenne un centro di rilievo sulla via Appia con il nome di Silvium o ad Silvianum e Silutum dei più noti itinerari antichi. Naturalmente con la caduta dell’Impero Romano (476 d.C.) la terra non fu immune dalle rovinose scorrerie di bande irregolari di barbari, che non distrussero completamente i centri abitati, ma ne ridussero le potenzialità economiche e culturali.

E’ chiaro che molti continuarono a viverci, come testimonia la presenza di chiese rupestri sul versante destro del burrone. I cittadini più audaci si arrampicarono negli anfratti della sponda sinistra della gravina per dar vita ai quartieri di Fondovico e Piaggio.
Legata alla storia della regione subì asservimento ai longobardi, ai bizantini e diventò terra di conquista da parte dei saraceni. Dopo un lungo periodo di gravi difficoltà, la città si riprese con l’avvento dei normanni che, con il conte Umfrido d’Altavilla ebbe la cattedrale (XI secolo) e con Federico II il castello (XIII sec.). Dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento (1266) passò agli angioini che, volendo affermare la cristianità, distrussero la sinagoga ebraica e cacciarono gli ebrei che rifiutarono il cristianesimo. Agli aragonesi si attribuisce La rinascita economica e culturale della città si attribuisce agli aragonesi che affidarono il ducato al senatore romano Francesco Orsini (1425). Grazie alla permanenza degli Orsini per diversi secoli la città si arricchì di monumenti, ma soprattutto conobbe il personaggio più illustre della terra. Infatti, nel 1650 dal duca Ferdinando III Orsini d’Aragona e da Giovanna della Tolfa nacque Pier Francesco. Primogenito di questa prestigiosa famiglia, rinunciò ai fasti della corte ducale per abbracciare la vita monastica che nel 1724 lo portò al soglio Pontificio con il nome di papa Benedetto XIII.
Con la partenza degli Orsini da Gravina (1817) la città ripiombò nell’anonimato.

(testi a cura del Prof. Giovanni Pacella – Associazione Benedetto XIII)

 

UNA PAGINA DI STORIA

 

In “NOTIZIE STORICHE SULLA CITTA’ DI GRAVINA” di Domenico Nardone (IV ed., pag. 182) si legge di una mancata promessa da parte di Papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, circa il matrimonio di sua figlia Lucrezia Borgia con Francesco II Orsini, duca di Gravina.

Papa Alessandro VI condusse una vita privata tanto dissoluta da meritarsi, a buon diritto, le accuse di eretico, simoniaco e infedele da parte di fra Gerolamo Savonarola. Portò avanti una politica spudoratamente nepotistica a favore di suo figlio Cesare, più noto come il Valentino, personaggio che la storia ci presenta senza scrupoli e profondamente disumano. Costui, quanto più cresceva in potenza, tanto più bramava conquiste in Italia a danno di chi osasse opporsi al suo potere senza limiti. Mirando alla conquista del regno di Napoli, spinse il padre Alessandro VI a dare in sposa la spregiudicata e corrotta sorella ad Alfonso d’Aragona, duca di Bisceglie e figlio naturale di Alfonso II.

Cesare, intanto, riappacificatosi con i reali di Francia, riprese le sue mire espansionistiche con tale fermezza e sicurezza da spingere i signori italiani, che gli erano diventati ostili per la sua famigerata politica, a riavvicinarsi a lui per evitare rappresaglie e vendette.
Così Paolo Orsini di Roma, Francesco II Orsini di Gravina, Vitellozzo Vitelli, signore di Città di Castello, Oliverotto da Fermo e Lodovico da Todi tornarono al suo servizio aiutandolo nella conquista di Urbino e Camerino. Per ordine di Cesare costrinsero alla resa Sinigaglia, città di Francesco Maria della Rovere prefetto di Roma. Per questi loro servigi attesero una ricompensa dal Valentino che ottennero sì, ma in modo assai diverso dalle loro aspettative.

Infatti, venuto in Sinigaglia, Cesare invitò a parlamento i signori suddetti, ma fece mettere loro “le mani addosso”. Il giorno dopo fece strangolare Vitellozzo e Oliverotto e assalì con il suo esercito le truppe al servizio dei due malcapitati. L’esecuzione dei due Orsini fu rinviata grazie alla pace fatta dal papa Alessandro con tutti gli Orsini. Ciò, però, non accontentò Cesare che, con inganno pari alla sua fama, invitò a palazzo il cardinale Giambattista Orsini facendolo rinchiudere nella torre Borgia. Nello stesso tempo fece prendere Rinaldo Orsini, arcivescovo di Firenze, il protonotario Orsini e altri di quel nobile e antico casato, impossessandosi delle loro fortezze e delle loro terre.

Il cardinale morì pochi mesi dopo, secondo una voce comune avvelenato, anche se il papa, nell’allontanare qualsiasi sospetto dalla crudele azione del figlio, lo fece condurre alla sepoltura scoperto per farlo credere morto di malattia.
Da quel momento non poteva più esserci scampo per Paolo e Francesco Orsini. Forte della complicità del padre in tanti efferati delitti, Cesare, trovandosi a Castel della Pieve presso Perugia, condannò i due malcapitati all’impiccagione. Correva voce che Francesco fosse morto prima. Era l’anno 1503.
Questa dolorosa pagina storica è stata scritta nel lontano XVI secolo da Francesco Guicciardini in “STORIA D’ITALIA”.